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Il luminoso peso di se stessi

Posted by on in Il Pifferaio Magico
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A dieci giorni dal mio viaggio, la domanda è: come si riesce a sopportare il peso di se stessi?

Quasi tutti i viaggi cominciano e finiscono. Solitamente, si torna nella routine con un misto di nostalgia e soddisfazione: nostalgia per un tempo che riteniamo mediamente essere stato migliore di quello abituale (e dovremmo chiederci il perchè valutiamo la vita di tutti i giorni così miseramente!) e soddisfazione per essere rientrati a piedi pari nelle nostre abitudini. Si gode della morbidezza del nostro letto, della dimestichezza col cuscino a cui siamo abituati, dell'odore del frigo, del paesaggio, dei parenti queruli, del cibo gustoso. Perfino i vicini fuori a vedetta che chiacchierano dell'autunno non danno così noia come prima di partire.

Manca poco e tutto tornerà inevitabilmente come prima. Mancano pochi giorni e tutto ricomincerà da capo. Questi sono i viaggi comuni, quelli che ti portano da un microcosmo agghiacciante, simile ad una ruota da macina, in un microcosmo fittizio, dove tutti sembrano belli, simpatici, intelligenti, migliori, dove il cibo è più gustoso, dove l'aria profuma di buono, dove il mare ti porta ritmicamente l'illusione che lì, in quel luogo diverso, potrai essere migliore anche tu. Del resto, la parola "vacanza" indica proprio questo tipo di vuoto illusorio. La vacanza fa spazio ad illusioni nuove, quindi funziona, concede ristoro dall'infelicità media quotidiana.

Poi, però, esistono altri viaggi. E questi sono viaggi in cui ti devi misurare col peso di te stesso, che i Greci chiamavano appunto "talento".

Chi sono io? Lo devo scoprire ogni giorno. A cosa do valore, a cosa do - letteralmente - peso? Cosa sono disposto a portare con me, di cosa ho bisogno? Non lo so finchè non vedo cosa mi serve veramente. Cosa posso buttare via? Quasi tutto, perchè il peso di me stesso è già troppo. Non ci si rende conto della pesantezza e del malfunzionamento del corpo denso fino a che non lo si porta allo stremo. La carne di cui siamo fatti è veramente poca cosa, rispetto alle pretese dell'altro peso di sè: cioè, non cosa voglio e desidero, ma cosa devo. Una volta levato tutto il peso inutile, una volta provato che forse so sopravvivere, cosa devo fare del mio talento, ovvero del piccolo, ponderoso peso della mia anima? Nulla è più esigente del peso che non vedo. Nulla pretende di più da me di questo, guidandomi - me cieca e sorda e spesso vile - verso una meta che non so, che probabilmente è solo un anello di un cammino che mi porterà ad una meta talmente luminosa e distante da non essere comprensibile. Eppure questa meta io non solo la desidero, ma la devo. E mi trovo in questi giorni a cercare segni, soli, frecce e croci, che possano guidarmi verso il prossimo passo. Non mi affligge più il non poter vedere. Il dolore fisico è solo un'opinione fra tante.

Ci sono viaggi che cominci e tenti di arrivare con tutte le tue forze. Quando arrivi, capisci che la tua meta era solo la partenza e il prendere fiato è un istante brevissimo, perchè dovrai condurre il peso di te stesso dove deve andare. Io spesso in questi giorni non so cosa pensare e sono finalmente felice di non riuscire a pensare niente, perchè solo il non pensare mi rende libera di andare. Non dove voglio, ma dove devo.

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